“Che ruolo ha il lavoro nelle nostre vite? È una parte della vita? O è la nostra vita stessa? Quanto ci definisce il lavoro? Chi siamo fuori dal lavoro? Quanto riesci a resistere in una conversazione prima di chiedere all’altra persona “E tu nella vita che fai?” Per la nostra generazione, i confini tra lavoro e vita sono sfumati: il nostro self è definito in buona parte dal lavoro che facciamo. E quello che facciamo, lo facciamo sempre, siamo operativi tutto il giorno, tutti i giorni. Dopo il precariato, la nuova frontiera tossica del lavoro corrisponde a uno stato continuo di autosfruttamento, difficile da riconoscere e da interrompere.”
In scena, Niccolò e Lorenzo parlano dei loro rispettivi capi: Niccolò e Lorenzo. Ma in scena ci sono anche i rispettivi capi di Niccolò e Lorenzo: Niccolò e Lorenzo che parlano di Niccolò e Lorenzo, in una tragicomica conversazione sul lavoro, sulla vocazione, sul capitalismo, sul tempo di vita e il tempo di lavoro, sui pranzi con se stessi, sulla disperazione.
Per chi ama il proprio capo, per chi lo odia, per chi è il capo di se stesso e si ama e si odia, per chi lavora troppo, per chi lavora troppo poco, per chi sta aggiornando il curriculum, o inventandosi lavori, per chi sta pensando di sbattere finalmente la porta e andare via.